L’ossessione del titolo o diploma di naturopatia “riconosciuto” o delle scuole “riconosciute”. La naturopatia tradizionale vista da un ex naturopata.
L’ossessione del titolo o diploma di naturopatia “riconosciuto” o delle scuole “riconosciute”. La naturopatia tradizionale vista da un ex naturopata.
Per approfondimenti, potete scaricare il video del Presidente Uni.Psi in tema di regolamentazione legislativa della naturopatia, cliccando sul link seguente:
http://www.youtube.com/watch?v=dJwgQjt12io
Per scaricare gratuitamente il manuale che fornisce la guida alla professione di naturopata, cliccare qui:
Negli ultimi decenni abbiamo assistito tutti alla nascita e allo sviluppo di un fenomeno apparentemente inarrestabile: quello dell’interesse per la salute, sia in senso medico-scientifico, sia specialmente in senso “alternativo-naturale”. Come ogni fenomeno, esso va collocato, per essere compreso, all’interno del periodo storico e letto alla luce del contesto socio-politico ed economico della società in cui si manifesta (si veda, per approfondimenti, il sito della nostra Casa Editrice: www.naturopatiaonlineunipsi.it)
Lo straordinario interesse per le medicine alternative che possiamo osservare ancora oggi nasce negli anni ’70-80 dello scorso secolo dalla concomitanza di una serie di fattori: un più diffuso benessere generale che consentiva di dedicare parte delle attenzioni e delle risorse ad attività non legate a bisogni primari e di sopravvivenza, come la cura del corpo, della mente e dello spirito; il progresso tecnologico, che sembrava aprire orizzonti più ampi nella cura delle malattie; un più facile e diffuso accesso all’istruzione; l’importazione di un modello di vita, l’american way of life, e quindi del suo opposto, cioè il ritorno verso stili di vita più semplici, a contatto con la natura, di cui sono stati alfieri i movimenti femministi ma specialmente quelli hippy. In questa atmosfera nuova, aperta all’esplorazione del mondo (quello orientale da parte degli occidentali, specialmente), in questo fermento culturale multietnico non poteva mancare la riscoperta di filosofie e religioni orientali, delle quali gli occidentali hanno saccheggiato, adattandole alle loro esigenze e stravolgendone spesso il significato, le componenti spirituali (o meglio, mistiche e spiritualiste) e quelle relative alla cura della salute. Nel primo caso abbiamo assistito alla riscoperta dei classici della spiritualità indiana, nel secondo a quella delle antiche tradizioni mediche indiane e cinesi, con conseguente importazione di tecniche slegate dal loro contesto, ma affascinanti e spettacolari, come lo yoga o l’agopuntura.
In Occidente, comunque, il culto delle antiche tradizioni in materia di salute non era certo scomparso con la diffusione della moderna scienza medica e chirurgica. Ancora oggi sopravvivono, e in alcuni casi prosperano, moderni guaritori, perlopiù di campagna, i quali utilizzano rimedi e tecniche prive di ogni riscontro scientifico, ma rassicuranti sotto il profilo dell’empatia ed efficaci grazie all’enfatizzazione dell’effetto placebo prodotta dai cerimoniali magici adottati.
Fin qui, l’aspetto più tipicamente storico della questione. Ma sotto il profilo socio-politico e della psicologia sociale, la rinascita dell’interesse verso forme di cura della salute che richiamano al passato non poteva non incrementare grazie a due diversi fattori: da un lato lo straordinario impulso dato dai mezzi di comunicazione, che hanno permesso di far conoscere a tutti discipline e filosofie che fino a pochi anni prima erano appannaggio di pochi studiosi della materia; dall’altro la crisi del modello biomedico, che è venuta a coincidere con quella, altrettanto grave dal punto di vista delle ripercussioni sulla società intera, del modello economico e politico di tipo capitalistico.
Fino a che l’accesso all’università era sostanzialmente riservato alle classi più abbienti (o a coloro che a costo di enormi sacrifici, propri e dei genitori, ricercavano tramite l’istruzione una certa legittima ascesa sociale), il fenomeno delle discipline e delle medicine alternative restava un fenomeno di nicchia, pittoresco, simpatico, ma nulla più. Ma quando la crisi economica e quella del sistema politico ideologico hanno fatto emergere i limiti e le contraddizioni del nostro modello di società, fu quasi naturale che l’interesse verso questo mondo alternativo si trasformasse in impegno professionale e investimento culturale e imprenditoriale. Lentamente, approfittando del problema della disoccupazione e della crisi del mondo del lavoro in genere, alcune persone più attente alle novità di altre si sono accorte che la medicina alternativa e il suo corredo di prodotti e servizi poteva trasformarsi in business, ma anche in opportunità di lavoro. E quando, alla fine degli anni ’80, apparve evidente che il mondo si stava avviando verso una trasformazione per nulla indolore, sotto tutti i punti di vista, milioni di persone, in crisi personale, di identità e di realizzazione del sé, accanto a coloro che vivevano sulla loro pelle la crisi occupazionale, hanno trovato nelle medicine alternative una ipotetica via di fuga.
Immedesimiamoci nell’impiegato, nel commerciante o nel libero professionista che si rende conto giorno per giorno che la sua professionalità sta lentamente perdendo di interesse per la società, che ha forse perso il treno per specializzarsi, per aggiornarsi, per rendersi appetibile sul mercato. Uniamo a questa situazione personale quella oggettiva di un mondo del lavoro nel quale la produttività a tutti i costi mette in secondo piano le risorse umane; pensiamo alla trasformazione dello stesso modo di lavorare, stravolto dall’avvento dell’informatica e delle telecomunicazioni; riflettiamo, specialmente, sul fatto che in questa situazione i target aziendali e gli obiettivi di mercato sono diventati l’unico scopo dell’attività lavorativa, al punto di porre in secondo piano le esigenze umane e personali, e ci rendiamo conto come il terreno era pronto per una vera e propria esplosione del fenomeno che stiamo analizzando. Chiunque vivesse la frustrazione e l’umiliazione di un lavoro in cui non si riconosceva più, e per il quale non si sentiva giustamente gratificato, poteva trovare conforto in una filosofia new age che attribuiva alla società e agli altri la responsabilità della situazione, invitando a scelte di vita che coniugavano risparmio e senso di appartenenza a una comunità spiritualmente orientata.
In termini più concreti, è evidente che per il lavoratore che perde o rischia di perdere il proprio posto di lavoro o la propria attività, o che assiste alla perdita di valore delle proprie competenze faticosamente acquisite, le alternative che il mercato offre sono pochissime, e poco praticabili: investire ingenti somme in una nuova attività, con tutti i rischi che ciò comporta nell’attuale situazione di mercato, cercare un posto di lavoro sicuro, garantito e a vita, oppure riqualificarsi, acquisendo una professionalità che il mercato richiede. Quest’ultima opzione richiede a sua volta una valutazione delle opportunità lavorative in relazione alle proprie capacità, attitudini e competenze. Iscriversi a quarant’anni alla facoltà di Ingegneria e dedicare tutto il proprio tempo al conseguimento di un titolo che praticamente garantisce un posto di lavoro altamente professionale e ben retribuito è certamente una buona idea, ma non praticabile per la quasi totalità delle persone. Una professione che non richiede particolari attitudini e capacità, ma solo una grande motivazione a studiare per molti anni è da sempre la facoltà di medicina, che garantisce un posto di lavoro sicuro, ma è troppo impegnativa e, specialmente, è caratterizzata da un accesso a numero chiuso che configura una vera e propria barriera, anche psicologica. Lo stesso dicasi, in forma minore, per psicologia, per la quale, oltre alle difficoltà comuni alla scelta precedente, si aggiunge il fatto che gli sbocchi lavorativi sono pressoché inesistenti.
Cosa rimane? Rimane, per parafrasare lo slogan di una azienda di rimedi omeopatici, la medicina alternativa: “Hai mai provato con la naturopatia?”
Mettiamoci ancora una volta nei panni del lavoratore medio in cerca di una opportunità di lavoro più sicura e gratificante dell’attuale: un impiegato, un’insegnante, una casalinga. La naturopatia offre tutto ciò che essi cercano: un percorso di studio non eccessivamente costoso e specialmente non impegnativo, la frequenza in pochi weekend o poche serate all’anno per tre anni, nessun ostacolo costituito da difficili esami di sbarramento, nessuna competenza o capacità preferenziale. In più, la naturopatia sembra offrire la possibilità di acquisire competenze straordinarie in tutti i campi dello scibile umano applicato alla salute delle persone: la conoscenza di tutta la storia della medicina, della psicologia e della filosofia; tutte le tecniche di massaggio e di manipolazione, l’uso di rimedi di ogni tipo, da utilizzare al posto dei farmaci, proprio come se si fosse dei veri medici; la possibilità di effettuare diagnosi alternative tramite i più svariati strumenti: dal pendolino all’iridologia, passando per la kinesiologia e l’astrologia dell’antico Egitto. Ma quel che è più interessante è il fatto di poter entrare a far parte di un gruppo di persone iniziate e illuminate, che condividono una visione alternativa del mondo, e che non ci fanno pesare il fallimento da cui proveniamo.(Parlo di fallimento e non di scelta, a ragion veduta: nessun giovane diplomato sceglie di iscriversi a una scuola di naturopatia anziché all’università, anche se figlio di appassionati naturopati; e se il ragioniere che sogna di diventare naturopata professionista avesse potuto godere dei privilegi che fino a pochi anni prima erano riservati ai bancari, con la garanzia del posto di lavoro a vita, ben difficilmente si sarebbe iscritto a una scuola di naturopatia).
A questo punto, il gioco sembra fatto. E invece inizia un percorso fatto di dubbi, di ripensamenti, di crisi esistenziali e di identità. Perché accanto a persone che frequentano questi corsi per puro diletto estetico, essendo sufficientemente benestanti da non doversi preoccupare di lavorare come naturopati a tempo pieno, esistono molti che hanno riposto enormi aspettative in questa scelta: persone che sperano davvero di dare una svolta alla loro vita e di poter mantenere la famiglia con il lavoro di naturopati. Alcuni entrano nel mondo dell’informazione medico-scientifica, oppure hanno la possibilità e il coraggio di investire in una attività imprenditoriale, cioè un negozio di alimenti naturali o integratori erboristici e simili. Altri, forti di una loro passione per il massaggio, arricchiscono questa professionalità con una serie di nozioni di scienza dell’alimentazione ed erboristeria, e sperano di poter sopravvivere praticando massaggi in regime di concorrenza spietata per tutta la vita.
Ma la maggior parte di coloro che si sono illusi di potersi ricreare facilmente una nuova professionalità, cominciano fin dal primo anno di corso a scontrarsi con la realtà dei fatti: a nessuno interessa davvero potersi “riequilibrare” usando rimedi magici o della nonna. Tutti coloro che si rivolgono al naturopata lo fanno in alternativa alla visita medica, per curiosità, per diffidenza verso la medicina, per disperazione o per moda. Tutti, comunque, hanno una sola esigenza: curare il loro disturbo. Possiamo diagnosticarlo come “deficit energetico della loggia del fegato”, squilibrio dei chakra, oppure trasformarci in raffinati psicologi di orientamento psicosomatico-spiritualista, e interpretare il disturbo come riflesso di uno scorretto atteggiamento verso la vita. In ogni caso, qualunque sia il modo che il naturopata ha di diagnosticare e curare il disturbo, al suo cliente interessa una sola cosa. Guarire, non avere più dolore né limitazioni al proprio stile di vita, evitare un intervento chirurgico o l’assunzione di farmaci, in altre parole, stare bene in salute.
Qui nasce il problema etico, deontologico e giuridico: l’unica categoria autorizzata dalla legge, in ogni paese civile, a occuparsi a qualsiasi titolo della cura della salute, sono i medici. A nulla vale l’escamotage infantile di presentare la propria attività come rivolta non alla cura delle malattie, ma alla “cura della persona nella sua globalità”. Siamo seri: qualunque sia la formula che le scuole di naturopatia ci fanno imparare a memoria per giustificare l’ attività di naturopata come autonoma rispetto a quella medica, quello che il naturopata impara a fare è sempre e comunque curare le malattie con approccio e strumenti diversi da quelli del medico, ma sempre a curare malattie. In quale altro modo potremmo definire, infatti, una attività rivolta a diagnosticare lo stato di salute non ottimale della persona, e a intervenire su di esso con rimedi e cure che producono effetto modificando il suo metabolismo, oppure il suo atteggiamento mentale? In ogni paese del mondo, questa attività è quella di cura della salute, come tale di esclusiva competenza della medicina e della psicoterapia.
Chi scrive ha cercato per anni, quando svolgeva l’attività di naturopata, di giustificare a sé stesso il fatto di rendersi conto di svolgere nei confronti dei suoi clienti una attività di tipo medico (se pur con approccio alternativo): ma la prescrizione di diete, di rimedi erboristici o integratori alimentari, le tecniche di manipolazione erano pur sempre le armi principali a nostra disposizione, e la legge le affidava solamente a personale abilitato, non a naturopati.
Restava l’illusione del “riconoscimento ufficiale” della naturopatia, come professione autonoma. Da trent’anni le scuole di naturopatia promettono tale riconoscimento, e da trent’anni migliaia di sprovveduti aspiranti naturopati si fanno illudere da questa false promesse. A livello europeo, come delle singole nazioni, non esiste affatto la volontà di “riconoscere la naturopatia”, ma solo quella di mettere ordine in questo caos di migliaia di discipline alternative, indifferentemente praticate da alcuni medici e da eserciti di ragionieri-guaritori (con tutto il rispetto per la categoria). La tendenza di ogni paese del mondo è quella di pretendere una formazione universitaria per poter svolgere qualsiasi attività professionale, e in ambito sanitario, l’interesse per modalità diverse di approccio alla salute (per esempio, gli aspetti psicologici, l’uso della pet therapy o di tecniche di meditazione e di rilassamento) non si separa mai dall’esigenza incontestabile di utilizzare solo ed esclusivamente strumenti e sistemi di cura per i quali esistano documentate evidenze scientifiche.
La battaglia di retroguardia portata avanti dai medici alternativi, tendente a introdurre discipline pseudoscientifiche all’interno della medicina scientifica, nonostante gli interessati proclami dei guaritori alternativi, è una battaglia evidentemente persa. Lo dimostra il fatto che da due secoli l’omeopatia, a differenza di centinaia di nuove tecniche di cura mediche, non è mai riuscita ad essere riconosciuta come professione che prevede una formazione accademica e un Albo professionale, in nessuna parte del mondo.
È chiaro che il naturopata, personalmente interessato a poter esercitare la sua professione, tenderà a cercare conferme, anziché falsificazioni, alle sue aspettative, e troverà di conseguenza sempre persone interessate a illuderlo, perché egli ingenuamente, si ostinerà a chiedere all’oste se il suo vino è buono. Tutte le scuole di naturopatia commerciale dedicano quasi tutto lo spazio dei loro siti (pubblicitari) alla propaganda relativa alla validità dei titoli da esse rilasciate, alle future e futuribili opportunità di lavoro (puramente teoriche), a riferimenti a paesi del mondo nei quali la naturopatia sembrerebbe “riconosciuta”. L’ossessione del riconoscimento è tale in quanto, almeno inconsciamente, ognuno si rende conto che la naturopatia non potrà mai essere una professione ufficialmente regolamentata come, per esempio, quella del medico. Se alcune tecniche delle medicine alternative saranno “riconosciute”, ciò avverrà solamente quando esse potranno fornire prove oggettive della loro efficacia, come è avvenuto con la psicoterapia (pur tra mille dubbi, perplessità e difficoltà) o per tecniche di osteopatia o di meditazione. Ma mai, proprio mai, un sistema sanitario nazionale potrà accogliere, per esempio, l’esame iridologico tra i sistemi diagnostici. Non perché “alternativo”, non perché l’ingenuo principio analogico su cui si basa non abbia un significato esoterico, ma semplicemente perché totalmente inaffidabile. Si osservi, per restare in tema di iridologia, che essa rappresenta anche il tipico esempio di “falso ideologico” su cui si basa la naturopatia commerciale, perché questa ingenua tecnica diagnostica non ha nulla a che fare con i principi ecologici, salutistici, olistici cui si ispira la naturopatia, ma è soltanto una tecnica medica, inventata da un medico senza alcuna intenzione di farne un sistema diagnostico filosofico alternativo, ma solo alla ricerca di un sistema efficace per individuare le malattie. Essa è quindi nata e si è sviluppata come una tecnica medica, di approccio tipicamente allopatico, volta alla ricerca dei segni di malattie e non certo di “squilibri” o “diatesi”, ideata da un medico che della naturopatia, della medicina ayurvedica e di quella tradizionale cinese non sapeva assolutamente niente. Perché si continua ad insegnarla, nonostante abbia chiaramente e indiscutibilmente dimostrato di essere una tecnica diagnostica talmente inaffidabile da rasentare il ridicolo? Perché è affascinante, si impara in due weekend e permette a chiunque, anche se totalmente digiuno di conoscenze mediche, di effettuare una pseudodiagnosi. Che poi essa non serva a niente è secondario, perché il vero iridologo è un abile ciarlatano che ha imparato che ai suoi clienti deve dire ciò che essi vogliono sentirsi dire, e non la realtà dei fatti. È serio tutto questo? È serio che tutte le scuole di naturopatia, ad eccezione della nostra, dedichino ore costosissime di lezione ad insegnare una tecnica priva di ogni fondamento? Gli iridologi hanno buon gioco nel citare, come ogni ciarlatano, i loro casi aneddotici di diagnosi straordinarie, ma nessuno di loro ha mai avuto il coraggio di confrontarsi con esponenti della classe medica, magari specialisti in oftalmologia, né si sono mai chiesti perché nella letteratura scientifica internazionale non esista un solo caso di studio serio che dimostri l’utilità di questa tecnica. Eppure ogni anno migliaia di ingenui aspiranti naturopati si iscrivono a scuole che promettono sbocchi lavorativi, e si illudono, almeno per un po’, di poter guarire il mondo dai suoi mali, meglio, a quanto pare, di come abbiano fatto finora i milioni di seri professionisti che hanno dedicato la loro vita allo stesso scopo, ma hanno raggiunto risultati molto meno esaltanti di quelli che la naturopatia promette.
E qui arriviamo a un punto doloroso per ogni aspirante naturopata. Il punto in cui egli si trova costretto a riconoscere che la naturopatia, per come è intesa attualmente da quelle organizzazioni commerciali di vendita di diplomi inutili che si fanno chiamare “Scuole di naturopatia tradizionale”, è un insieme disarticolato e confuso di varie tecniche e filosofie che, se fosse depurato delle assurdità e falsità scientifiche di cui è infarcito, potrebbe rientrare nel bagaglio culturale e professionale di ogni medico allopatico. I capisaldi della naturopatia tradizionale restano infatti ovunque la cura dei disturbi e delle alterazioni dello stato di salute con tecniche di manipolazione (linfodrenaggio, massaggi, shiatsu, manipolazioni varie), oppure con prescrizioni dietetiche o con farmaci “naturali”. Entrambe queste classi di strumenti terapeutici, se rivolti a ripristinare, migliorare o mantenere lo stato di salute, sono indiscutibilmente di competenza medica.
Nel primo caso, quello delle tecniche manuali, nessuna legge al mondo potrà mai consentire a chiunque non sia medico o laureato in fisioterapia di praticare tecniche di manipolazione sul corpo. Nel caso delle diete, si tratta di atti medici che richiedono competenze previste solo nei corsi di laurea in dietistica o in scuole di specializzazione medica in dietologia; in quello della prescrizione di rimedi “naturali”, se rivolti alla cura delle alterazioni dello stato di salute, essi restano e resteranno sempre di competenza esclusivamente medica.
Il fatto che la medicina guardi con sospetto e diffidenza molte di queste tecniche deriva soltanto, come abbiamo accennato per l’iridologia, dalla loro totale inaffidabilità come strumenti diagnostici o di cura, e non certo perché essi si pongano, nei contenuti e negli scopi, al di fuori del campo di azione della medicina. Ma, per esempio, l’uso delle erbe in naturopatia non rappresenta nulla di innovativo o di alternativo rispetto a ciò che da decenni si fa in farmacologia e farmacognosia, perché la medicina moderna è nata proprio grazie all’uso di principi attivi estratti dalle piante, e accetterà che esse possano essere utilizzate per la cura dei disturbi o delle malattie solo se prescritte dal medico. Non c’è niente di alternativo, insomma, nella cura della salute delle persone tramite l’alimentazione dietetica , l’integrazione nutrizionale o la fitoterapia: si tratta di atti rigorosamente medici, ai quali la medicina tradizionale dedica purtroppo ancora scarsa attenzione. Ma si tratta di atti medici. Di alternativo ci sono solo le centinaia di tecniche che vengono inventate quotidianamente e pubblicizzate sul Web come pratiche terapeutiche, che possono essere imparate in una sola giornata. È serio, secondo voi, tutto questo? È serio illudere tante persone che vorrebbero davvero dedicare la loro vita allo studio di materie legate alla salute “naturale” convincendole che presto una legge aprirà le porte degli ambulatori e degli ospedali pubblici e di studi privati alla figura del naturopata?
Se solo gli aspiranti naturopati smettessero di farsi ingannare dalle scuole di naturopatia e si informassero nelle sedi competenti (per esempio, all’Ordine dei medici) scoprirebbero che questo famoso “riconoscimento” della naturopatia, al di là dei casi in cui esso è utilizzato come strumento politico e di propaganda (come nelle ridicole proposte di legge che periodicamente vengono presentate sapendo che giaceranno per sempre come lettera morta), potrà avvenire verosimilmente (probabilmente tra decenni) in due direzioni: una è quella dell’istituzione di una scuola di specializzazione universitaria riservata a laureati in medicina o psicologia, la quale insegni l’utilizzo di tecniche di rilassamento e di cura della salute tramite principi generali di alimentazione, attività fisica e mentale, su base rigorosamente scientifica. L’altro è quello dell’istituzione (molto improbabile) della figura professionale del naturopata non certo intesa come paramedico “alternativo” ma come consulente della salute, che è proprio ciò che le nostre scuole cercano di insegnare. Con una ulteriore differenza, rispetto alle scuole di naturopatia: non si sogniamo, nella maniera più assoluta, di prospettare scenari improbabili di sbocchi lavorativi e di “riconoscimenti ufficiali”.
Poiché preferiamo guardare in faccia la realtà, informiamo coloro che, contro ogni evidenza, volessero ancora credere nel fatto che questa leggendaria e futuribile legge che istituirà la figura professionale del naturopata sarà promulgata al più presto, che, verosimilmente, di essa non potrà beneficiare nessun naturopata “diplomato”. È chiaro, infatti, che una ipotetica legge che riconoscesse l’ambito di competenza di questa professione, distinguendolo da quello del medico, porrebbe il naturopata o alle dipendenze del medico, svolgendo attività che non potranno consistere in quelle di competenza di dietisti, fisioterapisti e medici stessi (prescrizione di cure a base di rimedi); oppure ne definirà le competenze autonome, ma sempre sulla base di quelle supportate da evidente documentazione scientifica. Rimarrà poco, molto poco di quello che le scuole di naturopatia insegnano attualmente, e praticamente solo quello che insegnano le nostre scuole. Ma, in ogni caso, spiace dirlo, nessuna legge potrà mai riconoscere la validità di titoli preesistenti, in quanto rilasciati senza che esistesse la minima condivisione di contenuti, di obiettivi, di regole teoriche e metodologiche. Tutto dovrà ricominciare da capo. Naturalmente, non fidatevi di quello che vi diciamo, ma neppure di quello che vi dicono le scuole (interessate) di naturopatia. Noi non dobbiamo riempire aule di persone che pretendono di imparare a curare le malattie assistendo ad alcune conferenze su diversi temi. Noi insegniamo per passione a poche persone motivate, che selezioniamo sulla base dell’apertura mentale e del senso critico, quali siano i principi fondamentali che regolano la qualità della vita, sulla base di evidenze scientifiche. Non vi chiediamo di credere a noi, ma di ascoltare il parere di legali o giuristi esperti in legislazione, possibilmente internazionale, e di farvi indicare quali sono le probabilità che le cose possano andare come sostengono i titolari delle scuole di naturopatia. Se la percentuale fosse superiore allo zero, saremo ben lieti di perdere la scommessa offrendo a tutti un caffè (d’orzo, naturalmente: il naturopata non beve caffè, strumento del demonio e delle multinazionali).
Sappiamo per esperienza personale quanto può essere devastante per chi voglia veramente mettersi in gioco e dare una svolta alla propria vita, scoprire che la professione per cui si sono spesi tempo, soldi, energie e specialmente speranze, è solo una bufala ben organizzata da personaggi senza scrupoli. Nessuna professione al mondo è mai nata e mai nascerà solo dopo che sia stata riconosciuta dalla legge e senza che esista già una diffusa richiesta di quel tipo di professionalità tra il pubblico dei consumatori. Ci spiace osservare ancora oggi l’ingenuità di tanti aspiranti naturopati che vengono illusi e si illudono che una legge che riconosca la figura del naturopata risolverà i loro problemi. Cosa si aspettano?
Di poter appendere una targa fuori dalla porta di casa con la scritta “naturopata” e vedere la gente che, a frotte, sgomita per prenotare un ciclo di visite ?(Sappiate che la libera professione in questo settore richiede anni di studio e di aggiornamento, e anni per costruirsi una clientela: che è scarsissima per psicologi e psicoterapeuti, per cui non si capisce perché dovrebbe invece arricchire i naturopati).
Che gli ospedali e le strutture pubbliche sanitarie accoglieranno la figura del naturopata creando milioni di posti di lavoro ben retribuiti e a tempo indeterminato? (Non ci sono soldi per pagare decentemente il personale paramedico, gli assistenti sociali, gli psicologi, i counselors, perché dovrebbero esserci per i naturopati?).
Che la diffusione dei principi della naturopatia porterà a una maggiore consapevolezza dell’importanza di un consulente della salute? (La popolazione occidentale tende verso il sovrappeso e l’obesità, il cibo fast food si diffonde in misura molto superiore a quello biologico, le persone non fanno attività fisica e non leggono libri. Perché dovrebbero dare ascolto a un naturopata, il quale non è aggiornato sulla ricerca scientifica, non fa ricerca e non ha competenze specifiche?)
E poi, quali informazioni o servizi potrebbe offrire il naturopata, che non possa fornire meglio, con maggiore competenza e professionalità, un dietologo, un medico dello sport, un erborista, un fisioterapista, uno psicologo, un counselor? O pensate davvero che in pochi weekend, frequentando le scuole di naturopatia, possiate acquisire le stesse competenze di tutte queste figure professionali?
A nostro parere, dopo anni spesi a studiare e a lavorare per dare dignità a questa professione, la naturopatia, nella quale credevamo, siamo giunti alla conclusione che essa può e deve avere significato solo se intesa come insieme di principi salutistici rivolti alla cura della qualità della vita, e non direttamente della salute. Per questo motivo abbiamo inserito tali principi all’interno di quelli filosofici, psicologici e metodologici del Counseling, e diffondiamo la nostra conoscenza non a tutti, ma solo a coloro che condividano le linee fondamentali di rispetto per la coscienza propria e altrui. Le competenze acquisite frequentando i nostri corsi a numero chiuso non sono destinate a garantire un preciso sbocco professionale, ma ad arricchire il bagaglio culturale e professionale di ogni allievo in un percorso il più possibile personalizzato. Quello di cui siamo certi, però, è che ciò che ogni allievo dei nostri corsi riuscirà ad apprendere ed integrare nella propria coscienza e professione, sarà certamente più utile e gratificante di tutte le informazioni superficiali che avrebbe acquisito frequentando una scuola di naturopatia tradizionale.