Intolleranze alimentari: bufale, inganni e reato di abuso della credulità popolare.
Il fenomeno delle intolleranze alimentari è uno dei campi di maggiore interesse per i medici alternativi. La loro recente “scoperta” ha offerto una combinazione di caratteristiche pressoché perfetta per quei terapeuti che hanno rinunciato a utilizzare, nell’esercizio della loro professione, il rispetto per la scienza, per il buon senso e anche per il prossimo.
In effetti, le intolleranze alimentari, a differenza delle allergie, non hanno una sintomatologia codificata, si manifestano in maniera inaspettata e imprevedibile e sono, per chi crede nella loro esistenza, legate all’intervento di migliaia di possibili fattori diversi.
Le intolleranze alimentari sono diventate il principale capro espiatorio per tutti i disturbi prevalentemente psicosomatici e tipici di coloro che tendono ad attribuire la responsabilità di tutto ciò che accade loro di negativo alle circostanze o a fattori esterni (Heider, 1958; Rotter, 1972).
In più, naturalmente, non esiste una cura efficace, come per tutti i disturbi multifattoriali e tipicamente psicosomatici e di solito scompaiono inspiegabilmente così come sono comparse. Ce n’è abbastanza per solleticare l’interesse di tutti quei terapeuti che fondano il loro lavoro su diagnosi creative, soggettive, strampalate, non contestabili.
Personalmente, ho sempre sostenuto che le intolleranze alimentari come specifico disturbo non esistono, ma esistono allergie come quella al nikel, o deficit enzimatici relativi a lattosio e glutine, o altre malattie ben note alla medicina, come il favismo, nelle quali l’organismo reagisce al contatto con alcune sostanze.
La mia incauta affermazione, che suscita il disappunto dei medici alternativi, i quali sulla cura delle intolleranze basano gran parte del loro fatturato, non nasceva da una competenza medica che non possiedo, ma dalla semplice osservazione che di intolleranze non soffrono coloro che sono impegnati a combattere malattie più serie, o a vivere con intensità e consapevolezza la loro vita, o ad aiutare chi sta peggio di loro. Così come è significativo il fatto che esse non esistevano un tempo, né esistono là dove le condizioni di vita precarie rendono impossibile l’accesso a cure alternative. Stranamente, notavo, le intolleranze sono nate e si diffondono in progressione perfettamente parallela con la diffusione del benessere nel mondo occidentale, l’inquinamento ambientale e la diffusione delle medicine alternative. Quale è il legame tra questi elementi? Personalmente, ritengo che lo stile di vita moderno e l’inquinamento siano i principali responsabili di quelle che sono definite intolleranze alimentari, le quali però altro non sono che reazioni del sistema immunitario (o meglio psiconeuroendocrinoimmunitario) a tali aggressioni. Contrariamente a quanto sostengono coloro che da questa situazione hanno ricavato un business, ritengo però che la cura consista anche in questo caso, in primo luogo, nella presa di consapevolezza di un sistema di vita squilibrato, da correggere con un supporto cognitivo e psicologico che conduca a una modificazione di stile e abitudini di vita.
Proprio mentre sto scrivendo queste pagine, la popolare rivista di diffusione scientifica Focus Family riporta un articolo a firma di Amelia Beltramini dall’emblematico titolo: “Intollerante sarà lei!” e che reca questo interessante sottotitolo: “Su lattosio e glutine sono tutti d’accordo: le intolleranze a queste sostanze sono riconosciute anche dalla medicina ufficiale. Sulle altre, invece, la comunità scientifica è categorica: non esistono. E i test per diagnosticarle sono una bufala”.
Come rileva l’allergologo Guglielmo Meregalli, citato nell’articolo in questione, “il filone delle intolleranze alimentari è soggetto al variare delle mode” e i pazienti non sanno più a chi rivolgersi “sballottati come sono fra le varie, difformi diagnosi degli esperti”. In particolare, con riferimento ai test relativi, l’allergologo afferma testualmente: “Non hanno alcuna validità scientifica. Il Ministero della Salute dovrebbe proibirli”.
Tra i test per le intolleranze brillano per fantasia a capacità di attrarre menti deboli e suggestionabili il Dria test e il Vega.
Il primo è un’evoluzione in veste scientificamente più presentabile del famigerato test chinesiologico di cui abbiamo analizzato le caratteristiche precedentemente, il quale rappresenta a mio parere uno dei vertici di stupidità più alti raggiunti dagli ideatori di medicine alternative.
Il test chinesiologico da cui deriva, per il fatto di non richiedere apparecchiature di alcun tipo, è di solito delegato dai medici alternativi a terapeuti di più basso livello, cioè normalmente a massaggiatori o naturopati. Il Dria test invece funziona più o meno sullo stesso principio, cioè come una macchina della verità, ma è confezionato con un’abile veste scientifica, in quanto prevede l’uso di un dinamometro applicato a un computer, e nelle versioni più sofisticate riservate ai medici, persino una specie di sediolina che permette al paziente di effettuare il movimento richiesto di contrazione della muscolatura della gamba in maniera corretta.
Richiamandosi a nobili testimonianze provenienti dalle filosofie dell’estremo oriente abbinate a principi di meccanica quantistica (la strategia è sempre quella), o, più banalmente, riferendosi al concetto new age secondo cui tutto è collegato con tutto, il Dria test si fonda sull’idea che la nostra muscolatura risponda all’ingestione nell’organismo di sostanze verso cui è intollerante con un calo della forza muscolare. Quest’ultima viene misurata con una semplice apparecchiatura, dotata di elettrodi rilevatori sulla gamba del paziente, collegati a un computer, che evidenzia in forma oggettiva l’intensità della forza muscolare.
Il principio è interessante, ma è assolutamente privo di senso, di affidabilità e di giustificazioni scientifiche. Non varrebbe neanche la pena di parlarne, se non per evidenziare come sia stata appositamente costituita una associazione riservata ai medici per poter effettuare in esclusiva questo tipo di esame, la cui attendibilità è pari a quella ottenibile col lancio di una monetina, nonostante i patetici tentativi di rivestirla di una veste di scientificità attraverso studi privi di valore scientifico su pochi pazienti.
Quello che è interessante rilevare è come tutti noi siamo disposti ad accettare la magia quando, come in questo caso, ci è proposta in forma di scienza da scienziati. Il beneficio che l’uso di questo tipo di test ha portato al problema delle intolleranze è sotto gli occhi di tutti: il sistema non si diffonde, ma le intolleranze, sì. Ciononostante ogni giorno qualche sprovveduto che vuole provare il test, anche solo per curiosità, si trova sempre.
Sotto il profilo psicologico, è infine interessante osservare come le intolleranze alimentari abbiano preso il posto, nella cultura popolare e alternativa, di tutti i mali misteriosi che ci affliggono senza provocare vere e proprie malattie. Per quanto possa valere la mia esperienza professionale, posso testimoniare come moltissime persone hanno voluto effettuare il test sulle intolleranze per la curiosità insopprimibile di conoscere quale sia l’alimento che, da solo, è causa di tutti i loro disturbi, nella convinzione che il male possa oggi modernamente camuffarsi sotto le spoglie di una intolleranza.
Il medico alternativo, sotto questo punto di vista, rivestirebbe quindi il ruolo del sacerdote, sciamano o esorcista in grado di riconoscere il male e di snidarlo con le sue arti magiche. Tutto questo oggi è reso ancora più facile a seguito di un processo di restyling per porre queste arti magiche al passo coi tempi, trasformandole in apparecchiature elettroniche. La magia sotto forma di scienza permette quindi ai medici disillusi dalla freddezza, ripetitività e rigidità della loro professione, di abbracciare con entusiasmo una medicina alternativa che permette anche a loro di essere creativi, visionari, e di poter effettuare finalmente diagnosi al di fuori dei rigidi protocolli imposti dalla loro professione. Diagnosi, si badi, mai falsificabili da nessuno, in quanto fondate sulla relazione unica e irripetibile effettuata dall’apparecchiatura rispetto a quel paziente in quel preciso momento. A nulla vale obiettare che gli stessi pazienti sottoposti allo stesso test presso medici diversi hanno evidenziato intolleranze diverse. A parte il fatto che quelle che vengono rilevate sono sempre le stesse (latticini, frumento, solanacee, lieviti), in caso di discordanza è sempre possibile invocare il fondamentale principio della medicina alternativa, secondo cui la diagnosi è questione soggettiva e non certo oggettiva come in medicina.
Gli utenti, d’altro canto, sono attirati da questi test e da queste apparecchiature per la rilevazione delle fantomatiche intolleranze alimentari come falene dalla luce: a molti di loro, menti deboli, non par vero di poter identificare un aspetto sconosciuto della loro persona come alternativa al consulto dell’astrologo. In tutti questi casi, essi si affidano a una persona dotata di conoscenze superiori e misteriche sulle quali non vogliono indagare per non rompere l’incantesimo. In questo modo possono soddisfare la loro naturale attrazione per l’ignoto senza doversi impegnare ad assumersi la responsabilità della guarigione. L’intolleranza permette infatti a chiunque di trovare un capro espiatorio (locus of control esterno) su cui scaricare la nostra difficoltà ad assumerci le responsabilità che la vita ci impone. Il medico alternativo è complice di questo che, a mio parere, è forse il motivo principale per cui le medicine alternative rallentano il progresso dell’umanità, in quanto egli rassicura il paziente sull’esistenza di un male esterno che egli potrà forse estirpare, senza neppure prendere in considerazione la parte, a mio parere predominante, della responsabilità individuale nel processo di guarigione.