Scuola Superiore di Counseling Psicobiologico: principi fondamentali-Uni.Psi.
Counseling Psicobiologico: principi fondamentali.
Dall’introduzione del manuale “Introduzione al Counseling Psicobiologico”, facente parte del materiale didattico della prima lezione della Scuola Superiore di Counseling Psicobiologico.
Introduzione.
Una delle critiche che più frequentemente vengono rivolte alla psicologia e al counseling tradizionale è quella che contesta la loro validità scientifica, e persino la loro efficacia, sulla base della considerazione che tali discipline si ispirano nell’impianto teoretico, nei contenuti, nella pratica diagnostica e terapeutica, ad “indirizzi” troppo numerosi e spesso, per certi aspetti, persino in contraddizione tra loro.
Un nuovo “Rapporto Flexner”, come quello che, nel 1910, definì in maniera definitiva quali sistemi di cura, tecniche e terapie fossero meritevoli di essere insegnate e praticate in medicina, perché fondate su una seria sperimentazione scientifica, sarebbe auspicabile anche per la psicologia, la psicoterapia e il counseling. A nostro parere, troppo di quello che costituisce la pratica psicoterapeutica si fonda su capacità relazionali e comunicative tipicamente di counseling, e troppo poco sull’applicazione di strumenti diagnostici e terapeutici effettivamente e scientificamente di provata efficacia e validità. D’altra parte, come noto ed evidente, la sfera psicologica non può essere oggetto di diagnosi e di cura come quella fisica, a causa dell’intrinseca impossibilità di individuarne oggettivamente le sue componenti strutturali e funzionali. Questo limite è stato da sempre trasformato in opportunità da tutti quegli “indirizzi” psicologici che si ispirano a più o meno ardite costruzioni pseudoscientifiche e spirituali, i quali, in pratica, rifiutano l’aderenza ai principi e alle regole della metodologia scientifica per proporre una psicoterapia o un counseling fondati su credenze e dogmi ideologici.
A partire dal nucleo della psicologia umanistica americana, infatti, si è sviluppata, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, una psicologia (e di conseguenza un counseling, come forma abbreviata di psicoterapia) che, partendo dalla psicosintesi di Assagioli e dalla filosofia transpersonale e orientaleggiante di Wilber, hanno costituito una delle più importanti basi teoriche per lo sviluppo del movimento New age. Il problema è che quello che doveva essere, nelle intenzioni dei suoi ideatori e fondatori, un percorso di crescita culturale, filosofico e scientifico che richiedeva studio e applicazione rigorose e intellettualmente impegnative, si è presto trasformato in una filosofia del disimpegno, nella quale sono stati fatti confluire tutti i più banali e superficiali luoghi comuni e le peggiori “verità” pseudoscientifiche che ancora oggi costituiscono il substrato di quasi tutte le cosiddette medicine alternative.
Uno degli aspetti deteriori di questa deriva culturale è stato il tentativo, in atto ancora oggi, di accreditare e convalidare qualsiasi ipotesi o fantasia sulla base del riferimento a ipotetiche e mai documentate conferme che proverrebbero, secondo i loro seguaci, sia dalla fisica quantistica, sia dalle filosofie e religioni orientali. Decenni di studi e ricerche di una tale complessità che è difficile anche per gli addetti ai lavori dire a cosa abbiano portato (nel caso della fisica moderna) e secoli di tradizione religiosa e filosofica che richiederebbero, per essere compresi nel loro significato, una conoscenza approfondita della materia, sono stati sintetizzati e ridotti a qualche principio, motto, proverbio o citazione di cui non si conosce il vero significato (“nulla avviene per caso”, “approccio olistico alla salute”, “ vivere nell’hic et nunc”, “tutto è illusione”, “la mente mente”, “riequilibrio energetico”, ecc.).
Ci si è dimenticati, o si è fatto finta di non sapere, che la riflessione filosofica su ciò che non appartiene (ancora) al mondo della scienza implica una base culturale molto solida, proprio allo scopo di evitare di trasformare quelle che sono solo ipotesi di ricerca in pure e semplici illusioni ben confezionate, e cioè linee guida per una vita felice, verità incontrovertibili o tecniche e pratiche terapeutiche alla portata di tutti.
L’impianto teoretico enormemente complesso costituito, tra l’altro, dalle filosofie dell’Ayurveda e del Tao è stato letteralmente saccheggiato da medici e psicologi occidentali che ne hanno importato, come barbari e selvaggi, solo ciò che luccicava di più, e cioè ciò che era più facilmente spendibile nel pragmatico e remunerativo mondo occidentale. La medicina tradizionale cinese è stata ridotta alla inutile tecnica dell’agopuntura e all’utilizzo della credenza nei meridiani energetici per fungere da supporto a centinaia di tecniche terapeutiche o diagnostiche altrettanto inutili ed inefficaci. Fine analoga hanno fatto le noiosissime quanto ingenue classificazioni ayurvediche delle tipologie umane. Dal punto di vista psicologico, poi, l’antica e moderna saggezza orientale è servita per giustificare, con qualche citazione, l’adesione acritica e superficiale a qualche disciplina o tecnica terapeutica fondata sulla meditazione o la manipolazione di energie universali. Il riferimento alla fisica quantistica, talmente complessa da poter essere utilizzata per affermare tutto e il contrario di tutto, ha fatto il resto.
Si sono così venute a delineare, nel corso degli ultimi decenni, due filoni di ricerca e di attività terapeutica: da un lato quello principale della medicina e della psicoterapia, sempre più improntate alla patogenesi e alla lotta al male senza quartiere; dall’altra le medicine o le terapie psicologiche di tipo alternativo, di orientamento spirituale e metafisico, le quali pretendono di svolgere gli stessi compiti di opposizione al male con la sola forza del pensiero positivo, della preghiera, della ritualità e della spiritualità.
Quello delineato per sommi capi nelle righe precedenti è il panorama in cui, alla fine dello scorso millennio, la psicologia della salute, o “positiva”, ha compreso la necessità di integrare le conoscenze strettamente psicologiche con quelle biologiche, e di inserire una moderna visione del comportamento umano all’interno di un contesto nel quale tutte le scienze, naturali, umane e sociali, dovessero dare il loro contributo. L’idea era quella che esistesse una terza via che conducesse alla salute e al benessere, slegata dal pur indispensabile approccio biomedico, ma fondata su una visione realistica dell’agire umano sintetizzabile nella “rivelazione”, rivolta ai sostenitori di sistemi di cura illusori: “Spiacenti: Babbo Natale non esiste”.
Nasceva così, in Italia, l’Istituto di Psicobiologia Individuale, la cui attività di studio, di ricerca e di terapia di counseling fu presto arricchita grazie al contributo dato dall’ istituzione, da parte della facoltà di Psicologia dell’ Università di Torino, del corso di Laurea Magistrale Interfacoltà in Psicobiologia del comportamento umano.
Resta da chiedersi, a questo punto, se anche quello “psicobiologico” possa o debba essere considerato un “indirizzo” al pari di quelli (e sono parecchie decine!) cui si ispirano quasi tutte le scuole di psicoterapia e di counseling. La risposta è affermativa, se per indirizzo si intende la qualificazione distintiva di questa forma di counseling; ma è sicuramente negativa se per indirizzo si intende un insieme di linee guida fondato, come nella quasi totalità delle scuole, sugli insegnamenti di qualche “Maestro” illuminato, ai quali l’attività terapeutica si ispira, e codificato dai rigidi protocolli depositati presso il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica.
L’assoluta originalità della base teorico-filosofica e scientifica del Counseling psicobiologico sta proprio nel fatto che essa, rifiutando facili etichette, si costruisce dinamicamente per effetto della sintesi tra differenti approcci e discipline di diversissima provenienza, tutte accomunate dal fatto di fornire un loro originale punto di vista esplicativo della realtà della condizione umana. L’agire umano, il suo tendere verso la felicità e l’autorealizzazione, non sono letti alla luce di qualche ipotesi filosofica priva di riscontri e di valore euristico, ma di precise teorie biologiche e psicologiche, alle quali si cerca di dare il contributo di una seria sperimentazione scientifica.
La biologia è in grado di illuminare la difficile analisi che il counselor deve svolgere relativamente alle caratteristiche globali del suo cliente, grazie alla conoscenza della genetica molecolare, della teoria evoluzionista darwiniana – con tutte le sue implicazioni in ambito etologico e filosofico, dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby a quella del “gene egoista” di Dawkins, passando per i contributi dei filosofi che indagano sulla coscienza, come Searle, Dennett, o della sociobiologia di Wilson. Allo stesso modo, il comportamento umano richiede, per la sua comprensione, anche approcci strettamente psicologici, neuropsicologici e neuroscientifici, che diano di esso una visione più sfaccettata e completa possibile, grazie anche al contributo della sociologia e dell’antropologia umana.
Nel primo capitolo, quindi, sarà nostra cura illustrare, se pur brevemente, il significato del termine “Psicobiologia” così come emerge dagli studi svolti dal nostro Istituto di ricerca. Dopodiché, si cercherà di mostrare come tale disciplina possa costituire l’insieme dei principi alla base dell’attività di counseling, dando al professionista della relazione di aiuto non tanto nozioni o strumenti tecnici, quanto la capacità ermeneutica di cogliere le connessioni nascoste tra i fenomeni, e quindi il loro significato meno evidente, ma più profondo.
La difficoltà maggiore che il Counselor psicobiologico può incontrare, specialmente nel corso della sua formazione, è quella di imparare a mettere in dubbio ogni ipotesi, a non essere schiavo inconsapevole di credenze e abitudini, ad essere sempre disposto a prendere in considerazione un’opinione che non gli piace, purché validamente e correttamente argomentata. Per questo motivo il lettore si troverà di fronte, nei capitoli successivi, una serie di dogmi, di luoghi comuni, di idee e concetti molto condivisi, e sarà invitato a valutarli in maniera molto diversa, se non opposta, dalla “norma”. Libera determinazione, amore, perdono, sono alcuni dei temi su cui inviteremo a riflettere, perché solo dopo profonda analisi il counselor potrà rivolgere gli stessi dubbi al suo cliente, aiutandolo, a sua volta, ad abbandonare gli schemi abituali e conformisti di pensiero.
Un counselor, come noto, non formula diagnosi, non cura alterazioni o disturbi psichici, e neppure fornisce consigli. Il counselor psicobiologico si limita (se questo vi sembra poco!) ad aiutare il cliente a riflettere su se stesso, in modo da far emergere le qualità e risorse che gli consentiranno di adattarsi al meglio ai cambiamenti imposti dalla vita. Noi non pensiamo, dopo anni di studio e di esperienza, che questo risultato sia raggiungibile tramite l’adozione di tecniche o l’adesione a certe filosofie o ideologie, per quanto affascinanti e consolatorie. Neppure pensiamo che compito del counselor sia quello di sostituirsi allo psicoterapeuta nel gestire uno specifico problema del cliente.
Il counselor psicobiologico, infatti, non si occupa del problema del cliente, ma del cliente nella sua interezza, perché la sua consulenza, a differenza di quanto avviene nel counseling tradizionale, non ha per oggetto uno specifico problema, ma, a partire dallo spunto offerto da esso, mira alla analisi del suo stile di vita e al miglioramento della qualità della vita stessa. Questo è il motivo per cui egli deve saper interpretare il significato della vita della persona in un’ottica multicomponenziale, ed essere in grado di formulare una diagnosi sotto forma di ricostruzione del significato della vita del cliente (effettuata sempre con la sua collaborazione attiva). Se di terapia si parla anche nel nostro Counseling, non è certo secondo il suo significato clinico di cura rivolta alla guarigione da una patologia, ma quella ben diversa di consulenza sotto forma di illustrazione delle diverse opportunità che il cliente, di propria iniziativa e con il proprio impegno, deve scegliere di perseguire.
Si tratta, come è facile osservare, di tutt’altra attività rispetto a quella dello psicoterapeuta, ma anche del counselor tradizionale, troppo spesso istruito e formato allo scopo di avocare a sé una professionalità in ambito terapeutico di tipo psicologico che non gli compete. Ma quella psicoterapeutica è l’attività che più si avvicina, almeno nelle intenzioni, a quella che forma oggetto della parte applicativa e “clinica” della Psicobiologia: il counseling psicobiologico. Per questo motivo saremo costretti a continui riferimenti alla psicoterapia, proprio per porre in evidenza come il counseling psicobiologico, probabilmente, non avrebbe avuto motivo di nascere e di svilupparsi come metodo terapeutico se la psicoterapia non avesse tradito i suoi principi, e non si fosse dedicata solo alla cura di disturbi psichici anziché di persone e della loro qualità di vita.